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l’appiccicosità delle vernici per pittura ad olio

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Io amo alla follia la pittura ad olio. Certo, amo anche le altre tecniche, ma l’olio è per me la “regina indiscussa” tra esse. Anzi, per dirla tutta, la sola parola “pittura” implica – nel mio immaginario – tubetti di colori ad olio, olii, medium grassi, spatole, tele e tavole; e un grosso e pesante cavalletto.

La pittura ad olio è resistente, brillante, piuttosto elastica, manipolabile in una miriade di modi, versatile, docile e goduriosa; proprio per questi motivi ogni pittore ha un suo modo, un suo procedere, ed è abbastanza improbabile che sia uguale a quello di un altro.

Uno dei modi più tipici di operare, pur nelle sue molteplici varietà, è la stesura del colore per strati. Molti pittori trovano che la pittura per strati successivi semplifichi parecchio la vita, perché si affronta un problema alla volta, e quindi la adottano regolarmente, con varianti che vanno dal semplice bi-strato (prima stesura quanto più possibile vicina al risultato finale seguita da un secondo strato di aggiustamenti) ad un esercito di livelli consecutivi, ognuno con un suo carattere e uno scopo preciso.

A prescindere dalle considerazioni personali di ognuno, la pittura per strati successivi presuppone la possibilità di vedere esattamente il colore sottostante. Capita, però, che ciò sia oggettivamente inattuabile, a causa di uno degli “accidenti” più diffusi nella pittura ad olio, sul quale sono stati consumati fiumi di inchiostro: il famigerato prosciugo.

I prosciughi creano non poche difficoltà: il colore si opacizza più o meno vistosamente, i toni scuri appaiono grigiastri e/o più chiari e diventa praticamente impossibile mettere una pennellata di tono e colore giusto, perché non si ha la percezione dell’esatta tinta sottostante.

Per ovviare a questo diffuso inconveniente, che si manifesta per tutta una serie di fattori, non solo nella pittura a strati successivi, i pittori utilizzano vari rimedi, tra i quali i più diffusi sono la pratica dell’oiling-in e l’uso di una vernice leggera e molto diluita, nota come “vernice da ritocco”.

In questa sede tralascerò completamente l’opportunità – o meno – di usare uno o l’altro metodo, ed i vantaggi/svantaggi derivanti dall’adozione di ognuno di essi, concentrandomi sull’appiccicosità delle resine, non solo in relazione all’uso “per ritocco”.

Vernici da ritocco

Le vernici da ritocco, come suggerisce il termine (in verità un po’ forzato), servono principalmente ad agevolare l’intervento successivo sugli strati pittorici inferiori già asciutti, allo scopo di modificarli con strati successivi.

Esse devono avere determinate caratteristiche fondamentali, in assenza delle quali possono ostacolare il corretto procedere del dipinto. Nello specifico, devono:

  • essere leggere, per permettere al film pittorico di respirare senza impedirne la corretta polimerizzazione;
  • essere incolori e prive di tendenza all’ingiallimento;
  • avere una siccatività velocissima (spesso pochi minuti) e franca, senza appiccicosità residue.

Le vernici da ritocco possono essere ottenute anche diluendo una vernice finale con un’essenza il più volatile possibile, come l’essenza di petrolio.
Data la stretta affinità che lega le vernici finali e da ritocco, che si discostano solo per la percentuale di estratto secco presente nell’essenza, da questo momento parlerò semplicemente di “vernici”, riferendomi ad entrambe le varietà.

Temperatura e umidità – i veri nemici delle vernici

Esiste, oggi, una quantità piuttosto corposa di vernici di ogni tipo; esse, tuttavia, utilizzano come estratto secco poche e ben definite resine, sia naturali che sintetiche. Le vernici finali odierne possono essere composte con resine naturali (dammar, sandracca, copale, mastice, ambra), resine chetoniche, resine acriliche, resine alifatiche; tutte allo stato puro, o mescolate tra loro in varie percentuali, secondo la formula del fabbricante.

Le vernici da ritocco moderne ed attualmente disponibili, a differenza delle vernici da ritocco tradizionali non più in uso (es. la vera Vernis à retoucher di Vibert che conteneva dammar variamente manipolata in essenza di petrolio) invece, sono quasi sempre di quattro tipi:

  • resina chetonica;
  • resina acrilica;
  • resina alifatica (ancora pochissimo usata, ma potrebbe essere la resina del futuro);
  • miscela di resine chetonica ed acrilica.

Il problema più antipatico di tutte le vernici è la sensibilità al calore ed all’umidità, ovvero il loro difficile utilizzo durante i mesi estivi. In alcune estati particolarmente afose soffre persino la vernice d’ambra genuina, che è stata sempre – giustamente – considerata quella più resistente all’umidità.

Le conseguenze dell’afa (calore + umidità) possono essere varie. Queste le due più diffuse:

  • appiccicosità residua superficiale che non si estingue neanche dopo parecchio tempo;
  • parziale e blanda opacizzazione ed ingrigimento, simile a quelle che si avrebbero con un prosciugo di intensità leggerissima.

Entrambi i problemi non sono permanenti, ma tendono a scomparire con lo stabilizzarsi del clima e raramente a riapparire (anche se in intensità molto minore) le estati successive.

Il primo consiglio, non sempre attuabile, è quello di usare le vernici sono in condizioni climatiche favorevoli, ovvero in autunno, inverno e primavera. Però, i pittori che necessitano di vernici da ritocco per proseguire nel lavoro, non possono fermarsi per 3/4 mesi, ed è quindi necessario trovare altre soluzioni.

Perché le vernici diventano appiccicose?

I motivi sono vari.
Le vernici naturali, come la dammar, la copale, la mastice e l’ambra, non hanno particolari specifiche tendenze all’appiccicosità, ed il problema principale è in genere nel solvente usato e/o nel lungo tempo necessario alla loro stabilizzazione.

Ad esempio, un solvente più volatile che non lascia residui resinosi (essenza di petrolio) darà una vernice di essiccazione migliore rispetto ad uno meno volatile tendenzialmente resinoso (essenza di trementina); purtroppo alcune resine naturali (come la dammar) non sono solubili a dovere nelle essenze minerali, fatto che può costringere ad eliminare una resina che magari ci piaceva particolarmente.

Quindi, in linea di principio, il primo passo per limitare le appiccicosità è intervenire alla base, preferendo quelle resine disciolte in essenze minerali piuttosto che vegetali.

Per le vernici da ritocco moderne, invece, il discorso cambia.

Abbiamo detto che esse vengono prodotte solitamente con resine chetoniche, acriliche o mescolanze variabili delle due.

Le resine chetoniche ed acriliche sono caratterizzate da una “temperatura di transizione vetrosa” (Tg) differente, che nel caso delle acriliche si assesta intorno ai 20°, mentre per le chetoniche è decisamente superiore.

In pratica, sotto il proprio specifico valore Tg, una sostanza indurisce; se quel valore viene superato – invece – diventa gommosa.

Non bisogna neanche trascurare un aspetto in genere poco considerato, ovvero l’appiccicosità indotta dai nostri stessi polpastrelli. Molti avranno fatto caso che, d’estate, sembrano presentare appiccicosità al tatto tutti quegli oggetti che hanno subito una verniciatura (mobili in legno, porte, etc.), ed anche oggetti che non dovrebbero averne traccia. In altre parole, quando d’estate “saggiamo” l’essiccazione con i polpastrelli, non dimentichiamo che hanno una certa appiccicosità anch’essi, e che sarebbe meglio usare il dorso delle dita, magari dopo essersi lavati per bene le mani.

Che vernici da ritocco usare?

Considerando i pro ed i contro, ed assodato il fatto che le appiccicosità residue scompariranno – di norma – con l’uscita di scena dell’estate (e dell’afa), ciò che è fastidiosissimo oggi riveste, tutto sommato, carattere di transitorietà, tranne episodiche e note eccezioni, che però rientrano nella casistica degli “errori di procedimento”.

I pittori che proprio non sopportano il comportamento delle vernici in stagione estiva, potranno trovare una spinta in più per usare altre tecniche interessanti (come, ad esempio, l’acquerello e la tempera), vivendo ugualmente felici e artisticamente appagati.

Chi, invece, ha solo l’olio nel suo cuore, dovrà continuare a leggere.

Una volta capito il concetto di “temperatura di transizione vetrosa”, saremmo tutti portati ad utilizzare esclusivamente vernici alla resina chetonica. Ma, dato che non è tutto oro quel che luccica, anche questa presenta un inconveniente, anche più pericoloso delle resine acriliche: la tendenza a diventare fragile nel tempo, in quanto si tratta di una resina con mediocri proprietà di resistenza meccanica.

Alla fine, la scelta della vernice adatta sarà una decisione tutta personale, che però è meglio che avvenga con cognizione di causa. Per tale motivo, di seguito, riporto le composizioni di massima di alcune delle più comuni vernici da ritocco. Non cito le vernici finali, perché il loro utilizzo può essere rimandato in autunno, senza particolari patemi. Non viene citata neanche la vernice da ritocco Winsor&Newton, perché il fabbricante non fornisce dati sulla sua composizione, e per tale motivo la sconsiglio, oppure suggerisco di effettuare prima delle prove per verificarne il comportamento. I dati riportati possono, ovviamente, subire modifiche nel momento in cui il fabbricante cambia la composizione, ma ad oggi la situazione dovrebbe essere questa:

  • Vernice da ritocco sopraffine Lefranc – Resina acrilica al 100% in essenza di petrolio;
  • Vernice da ritocco J.G. VIBERT Lefranc (ex item 1253) – Miscela di resine acriliche e chetoniche in essenza di petrolio;
  • Vernice per ritocco Maimeri (686) – Resina chetonica al 100% in essenza di petrolio;
  • Vernice da ritocco Old Holland – Resina chetonica al 100% in essenza di petrolio;
  • Vernice da ritocco all’alcool Schmincke – Resina chetonica al 100% in alcool;
  • Vernice da ritocco Turner Sennelier – Resina dammar pura in miscela di essenza di petrolio e trementina;
  • Vernice per ritocco Talens (004) – Resina chetonica al 100% in acquaragia.

Infine: l’uso del Liquin Original di Winsor&Newton (o altre resine alchiliche analoghe), come vernice da ritocco, pone questioni diverse, presentando anch’esso vantaggi e svantaggi. L’argomento è parecchio vasto e articolato, e perché sia utile va affrontato dedicandogli il giusto approfondimento, che non mancherà in futuro.

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