Nome completo
Roberto Shambhu (cognome – Signorella), docente di Progettazione Grafica e Disegno Professionale presso Istituto d’Arte “Calò”, Grottaglie; Docente di Arte e Immagine, Scuola Secondaria di Primo Grado.
Da dove vieni?
Nato a Taranto, vivo a Lama, frazione di Taranto. Origini salentine da parte di madre e Lucane da parte di padre.
Come, quando e perché è iniziato il tuo amore per l’arte?
Credo che l’amore per l’arte sia sbocciato osservando dipingere Vito (Nino) Amatulli, mio zio. Ero bambino e mi incantava il pennello che lasciava il colore sulla tela, la spatola che stendeva crema gialla come il sole e l’odore dell’olio di lino che impregnava ogni angolo della stanza. Mi piaceva molto disegnare, era la mia attività preferita, ma veder dipingere scoprii che era come osservare il realizzarsi di un incantesimo.
Quando è cominciata quest’avventura nell’arte?
Per non incorrere in fraintendimenti sul soggetto dell’Arte, è necessario che io esponga in sintesi l’idea che dell’Arte mi sono formato. Senza dubbio questa è quella che vede l’Opera quale prodotto di ingegno e portatore di contenuto, non solo formale ed estetico, ma anche veicolo d’espressione interiore. Uno schietto atto demiurgico dunque, in cui si ricongiungono ispirazione creativa ed affermazione dello spirito. Identificando una collocazione nel tempo, l’avventura dell’Arte per me è incominciata sul finire degli anni ottanta, con la Performance “Antroposimbolo”, ciclo di ventidue Riti Pittorici distribuiti nell’arco di nove anni di performance e installazioni itineranti in diverse regioni d’Italia ed all’estero.
“L’Antroposimbolo esprime il punto d’incontro in cui materia e spirito si identificano nell’impronta del corpo lasciata sulla tela. Testimonianza della finitezza umana, entro il cui perimetro coesistono caduco e perpetuo, la tela rappresenta il diaframma sul quale si fissa il segno effimero dell’esserci e scomparire. Sortendo dall’impasto di acqua e argilla, dopo ogni immersione, il corpo accoglie il Soffio Nuovo quale elemento vitalizzante e sperimenta la propria geometria e il proprio essere nello spazio tridimensionale.
L’impressione sulla tela non è solo traccia del corpo umano, fotogramma dello svolgersi dell’esistenza, ma è anche l’insostituibile cristallina testimonianza di un atto espressivo che congiunge ricerca pittorica e anelito spirituale.”
(https://www.facebook.com/Antroposimbolo)







Cosa hai studiato e dove?
Mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, frequentai il Corso di Pittura del Maestro Concetto Pozzati e conseguii il Diploma nell’anno 1991.
Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo dell’arte e a seguire studi artistici?
Ad esser franco non saprei dire se nel mondo dell’arte ci sia in effetti mai entrato o se, piuttosto, la pratica del disegno e della pittura non siano state altro che pretesti per garantirmi uno spazio di libera espressione; degli anni d’Accademia ho amato in particolar modo il confronto con i compagni di corso e l’eccitante sensazione del vivere nei medesimi spazi in cui, altri prima di me, avevano operato e dato respiro ai propri aneliti. Si, insomma, il grande atelier, romantica fucina di Opere e luogo di struggimento dell’anima, ha esercitato su me un fascino a cui non ho potuto resiste.
Come studente, qual è stata la lezione più importante che hai imparato?
Qui interviene l’atto acuto del Maestro; Pozzati non fece una piega quando gli mostrai le opere che avrei presentato per la Tesi: nulla a che fare con quello su cui avevo lavorato sino all’inizio del IV anno. Ero passato dal concettuale, fatto di rimandi, di citazioni, di congegni linguistici e sibilline grammatiche riscritte, al bodysmo. Quattro grandi tele nere, stese sulle ampie e candide pareti nello spazio prospiciente allo studiolo del Maestro, erano varchi aperti sulla finitezza, sull’effimero e sulla sintesi della dimensione umana. Lui, scorrendo con lo sguardo le forme d’argilla rappresa, passeggiò avanti e in dietro un paio di volte, poi si tolse il sigaro dalla bocca e, occhiali in una mano e sigaro nell’altra, incrociò le braccia, alzò un po’ le spalle e disse: “Interessante”. Poi sorrise.
Come artista, cosa vuoi condividere con il mondo?
Quello che faccio attraverso il “Rito Pittorico” ha l’intento di rendere espliciti alcuni luoghi dell’anima, spazi interiori dalle valenze universali che chiedono di essere indagati e sollecitano il mio operare e il mio apprendere e trasmettere. Ne ho condiviso l’esperienza più volte durante il mio percorso di ricerca e credo che, di fatto, sia l’unica proposta che non ha mai sofferto di perdita di genuinità ed immediatezza.



Secondo te, da dove viene l’ispirazione?
Sono un onironauta; l’ispirazione proviene in parte dall’inalienabile quotidiana relazione con i mondi sottili ed in parte dagli adattamenti che la mente ordisce per tradurre l’emozione di quei mondi.
Qual è l’elemento iniziale che innesca il processo creativo?
La necessità. Sia questa necessità mossa da un bisogno interiore o sia sollecitata da sussistenze primarie.
E cosa ritieni sia più importante? Il concetto, l’idea espressa, o il risultato estetico e percettivo dell’opera?
Certamente il risultato percettivo dell’opera che è quello che chiunque può osservare e attraverso cui può essere possibile pervenire all’idea che le ha dato fiato.
Quale fase dell’arte / creazione ti colpisce di più?
La fase in cui l’intuito si dispone all’ascolto; l’ispirazione.
Perché hai scelto un’arte visiva?
Disegno sin da piccolissimo, non è stata una vera e propria scelta. Mi ci sono trovato dentro direi. Poi, più grandicello, alle canzoni e alla chitarra, è seguito lo strumento che più amo suonare, la cornamusa. Le Arti Marziali, intraprese da ragazzino, mi hanno forgiato in rigore e disciplina e lo scrivere poesie, col tempo, è diventato un ulteriore canale per sgranare sentimenti e passioni.




Cosa si prova a manipolare la materia per creare un’opera plastica o pittorica?
Quello che provo è, come dicevo prima: “Uno schietto atto demiurgico in cui si ricongiungono ispirazione creativa ed affermazione dello spirito”. Detto più semplice: piacere.
Quale tecnica di disegno o pittura preferisci?
Molto disegno: matita, inchiostro. Poi l’olio.
Cosa rende speciale questo mezzo per te?
Il disegno è veloce, pulito, immediato, sintetico. L’olio lo trovo distensivo, inebriante; adoro l’alchimia…
È difficile discorrere d’arte senza parlare di sé. Quanto c’è della tua storia, dei tuoi ricordi, della tua vita intima, nelle opere che realizzi?
Nelle cose che faccio c’è tutto quello che riesco a esprimere dei miei trascorsi più o meno recenti, dei percorsi difficili, delle gratificazioni, delle scoperte. Ho particolare inclinazione nella produzione di manufatti artigianali: pirografie su legno, oggetti in metallo martellati e saldati che, insieme ad altri elaborati artistici, hanno costituito la mia fonte di sussistenza per molti anni. Come non riconoscere, ad ogni singolo pezzo prodotto, la qualità di frammento della memoria di una più grande opera complessiva?
Qual è l’importanza di trasmettere la conoscenza artistica alle nuove generazioni?
La trasmissione della conoscenza alle nuove generazioni è cruciale per lo sviluppo evolutivo della persona, da docente ne leggo tutte le sfumature attraverso l’esperienza con i ragazzi. Purtroppo la scuola, a mio personalissimo parere, non opera in favore di una vera autonomia emozionale in vista dello sviluppo di vere relazioni tra individui. Ma la mia è solo la visione di un idealista…









Secondo te qual è la funzione sociale dell’Arte?
L’Arte è collante, idioma intelligibile, concretizzazione dei sogni ed affermazione degli ideali. É critica e sberleffo, ossequio e memoria. L’Arte, dice un adagio, va appresa e messa da parte, immagino perché si possa sempre disporre di una corsia per salire sulla panoramica della vita.
Cosa dicono le tue opere?
Le opere, tutte e sempre, non solo le mie, parlano del proprio autore o della propria autrice, prima di narrare qualsiasi altra cosa. Le mie, oltre ovviamente raccontare di me, dicono di mondi possibili, di approcciabili alternative all’inespressività della routin dell’adesione ai gesti e ai comportamenti convenzionali e privi di vera vita. Parlano del sacro e della sua evocazione attraverso il segno effimero dell’impronta sulla tela, oppure prudono della frivolezza di qualche personaggio passeggero appalesato da pochi tratteggi veloci sul fiore battuto della carta. Le une e le altre vorrebbero suggerire ed indicare “qualcosa che c’è dietro”, vorrebbero corteggiare per poi svanire e lasciare l’amato nel cuore del suo dedalo.
Quali messaggi vogliono comunicare?
C’è una realtà più ampia e appagante, una origine che non è mai trascorsa e che ci chiede di esprimerla a pieno; luogo interiore, sostanza del Sé, visione irrinunciabile e flebile sussurro. Il messaggio è nell’incoraggiare chi guarda a tendere l’orecchio per percepirlo ed in quello potersi riconoscere e accogliersi.
Quale messaggio personale vorresti lasciarci?
Durante l’esperienza dell’esistenza in vita, abbiamo la possibilità di accedere a dimensioni trascendenti l’impermanenza dell’esserci e scomparire. Quale che siano l’Arte ed il Talento di ognuno di noi, questi possono essere i volani di grande energia sempre nuova; non dobbiamo dimenticare mai di dargli alimento.







L'articolo Roberto Shambhu: arte, materia e spirito sembra essere il primo su Circolo d'Arti - disegno e pittura.